Scalfari si racconta, tra filosofiae rimpianto per gli amici scomparsi

Il fondatore di Repubblica a Siena ospite della Festa del documentario con Zingaretti e Asor Rosa. Il ricordo di Calvino che proprio nella città toscana morì e le domande sulla vita che hanno acceso la passione del suo percorso intellettuale dal nostro inviato SILVIA FUMAROLA.


SIENA - Il rimpianto per gli amici che non ci sono più, le riflessioni sulla mancanza di un lessico per scrivere di filosofia, la curiosità intellettuale che guida un percorso di vita, lungo e ricco di incontri. Eugenio Scalfari si racconta alla Festa del documentario di Siena, ospite di Luca Zingaretti che l'ha invitato per parlare del suo ultimo libro "Scuote l'anima mia Eros" insieme ad Alberto Asor Rosa. La sala del Complesso di Santa Maria della Scala è stracolma, l'applauso che l'accoglie degno di una rockstar. "Ho saputo solo stamattina racconta il fondatore di Repubblica - che saremmo venuti qui, in questo luogo che una volta era l'ospedale della città e dove sono entrato - per la prima e ultima volta - quando Italo Calvino stava agonizzando. Ricordo che insieme a Bernardo Valli ci fermammo nella sala d'attesa, non ci fecero entrare, Italo morì due o tre giorni dopo. Non nascondo che questa cosa mi tocca da vicino".

Scalfari, che ha dedicato il saggio all'amico degli anni dell'adolescenza, per parlare delle differenze caratteriali - "lui era un saturnino che sognava di essere mercuriale, io un mercuriale che sognava di essere un saturnino" - riparte dai ricordi del liceo Cassini di Sanremo, che frequentava insieme al futuro scrittore. "Italo era molto introverso, però quando si trovava a suo agio aveva una vena d'ironia, uno spirito allegro. Ci facemmo una foto insieme ad altri amici su una panchina del lungomare di Sanremo: eravamo in sette.

Cinque sono morti, ho telefonato all'amico che è rimasto di quel gruppo, Gianni Pigati, e le nostre mogli ci hanno fatto una foto ricordo su quella stessa panchina". Scalfari ricostruisce le vite parallele: dopo il liceo Calvino all'università a Torino, lui a Roma, ancora insieme per le vacanze. "Poi il sodalizio s'interrompe, ma aveva avviato una crescita: il desiderio di capire chi eravamo, dove andavamo e da dove venivamo. Attorno a questa domanda è nata la filosofia del pianeta". Quando fonda "Repubblica" Calvino scrive sul "Corriere della sera". "Non me la sono sentita di chiamarlo, il giornale appena nato vendeva un quinto. Quando le vendite salirono andai a Parigi a incontrarlo: il tuo vero pubblico sono i lettori di "Repubblica", gli spiegai. Mi disse che si stava trasferendo a Roma, e arrivò da noi". Nel libro, che, come osserva Asor Rosa, è "la terza tappa di un viaggio", Scalfari parla anche dell'istinto di sopravvivenza. "Coincide con la vita. Come si manifesta alla nostra mente? Con l'amore per sé e per gli altri, un po' di egoismo è sano, ma troppo amore per sé... diventa egolatria, che caratterizza certi personaggi. E noi speriamo che lunedì...", dice riferendosi ai ballottaggi. Non fa in tempo a finire la frase che la platea applaude a lungo, entusiasta, un applauso che sembra non finire più, mentre lui sorride ironico: "Ecco qua, finisce sempre così".

Ma lo Scalfari politico, in questo incontro, lascia spazio all'intellettuale che s'interroga sulla ricerca di uno stile, sul modo di scrivere di filosofia "perché molti critici dicono che faccio bricolage tra autobiografia e considerazioni filosofiche. Dopo Nietzsche nessuno ha più potuto scrivere decentemente di filosofia, non a caso per poter esprimere la sua concezioni di filosofia, è costretto a inventare un personaggio, Zarathustra. Quando parla Cacciari è un uomo di passione e di pensiero, ma quando scrive, scrive in cinese per me che non capisco il cinese". Luca Zingaretti gli chiede quanto l'eros, la passione, abbia influito nella sua vita. "Questo libro è anche un'autobiografia sentimentale" risponde Scalfari: "Pochi giorni fa sono stato invitato alla Società psicanalitica italiana per parlare di Freud. Ho spiegato che non ho mai fatto analisi, ma autoanalisi. Conosco le riserve che hanno gli analisti: nell'autoanalisi la mente è predisposta a perdonare. Poi ho spiegato che Eros lo sento con una tonalità paternale. Ho avuto tanti tipi di amore: per le donne, per un progetto. Il lavoro è stato un amore: ho scritto che ci si sente soli nel potere ma a me è sempre piaciuto esercitare il potere in compagnia. Al giornale non mi sono mai sentito solo: c'erano i redattori, gli impiegati, i tipografi. Uscivo la notte e stavo bene, non sentivo la stanchezza. Ero felice".

La Repbblica.it

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